venerdì 5 marzo 2010

SABATO 13 SI INAUGURA LA CICLOFFICINA TAYLOR





Dal progetto “Cultural Bike” nato dalla Polisportiva antirazzista “Assata Shakur” in collaborazione con l’Ambasciata dei diritti , collettivo studentesco Ops,Ass.ne senegalese Diappo, nasce la “Ciclofficina Taylor”. Questo spazio è aperto ad ogni individuo e autogestito da chi ne usufruisce dove è possibile riparare la propria bicicletta o crearne una nuova con la fantasia che ogni soggetto può mettere in campo.
All’ interno si possono trovare pezzi per riparazioni o assemblaggio di una bicicletta, attrezzatura idonea per sostituire una camera d’aria o smontare pezzi di vario genere.
Oltre al mezzo la Ciclofficina Taylor è un luogo dove i ciclisti urbani possono incontrarsi, scambiarsi idee e saperi e svagarsi.
La Ciclofficina Taylor è un luogo che ha i valori dell’ antirazzismo e della cultura ambientale verde, infatti la fruizione di questo spazio è lo scambio di idee e saperi tra individui abbattendo ogni forma di discriminazione. Chi usufruisce della ciclofficina è tenuto a lasciarla nello stato in cui la trova perché dopo averla utilizzata, chi viene dopo può godere di una ciclofficina pulita per le lavorazioni che dovrà effettuare. Nella Ciclofficina si riutilizza il materiale abbandonato, non si accettano bici rubate, ma donazioni volte al riciclo si.

La ciclofficina Taylor prende il nome “dal primo grande campione ciclista americano si chiamava Major Taylor ed era un nero.
Major Taylor nacque povero nel lontano 1878 (come si legge su wikipedia, edizione inglese) e si guadagnò il soprannome (il suo vero nome era Marshall Walter Taylor) saltellando sulla bici e facendo altre acrobazie vestito da soldato, come attrazione pubblicitaria davanti a un negozio dell’Indiana. Qualcuno si accorse delle notevoli doti atletiche di quel ragazzino e lo indusse a partecipare a qualche corsa. Appena cominciò a vincere, lo stato dell’Indiana gli proibì l’iscrizione ad altre gare in quanto nero, così Major si trasferì nel più tollerante Connecticut e cominciò la carriera di corridore su pista.
Il culmine del successo fu la vittoria mondiale sulla distanza del miglio nel 1899, a ventun’anni. Era talmente più forte degli avversari che nella sua prima gara professionale su questa distanza, al Madison Square Garden di New York, staccò gli avversari di un intero giro di pista. Nonostante fosse acclamato all’estero, in patria continuò a subire gravi discriminazioni per il colore della pelle, ricordate nella sua autobiografia, The Fastest Bicycle Rider in the World. Il mondo del ciclismo americano di fine ottocento era infatti dominato da bianchi benestanti e razzisti, al punto che, come riferisce Hurst nel suo libro, la lega americana dei ciclisti (Law, League of American Wheelmen), un’associazione all’epoca estremamente attiva nel sostenere la causa della ciclabilità delle strade e dei diritti di mobilità dei ciclisti, introdusse nel 1894 il requisito di essere “bianco” tra quelli necessari per l’iscrizione. La cosa strana è che questo anacronistico divieto è stato formalmente rimosso solo nel 1999, un secolo dopo il titolo mondiale di Taylor. Per celebrare l’evento la Law ha concesso un’iscrizione postuma al campione di ciclismo, deceduto ancor più povero di quando era nato, nel lontano 1932, quando la discriminazione razziale era tutt’altro che un ricordo. Oggi che un afromericano siede alla Casa Bianca” anche a noi pare che questa storia meritasse di essere ricordata.

Storia tratta dal seguente blog:
blogs.myspace.com/strepitelo

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